Sono le 21,30 di lunedì 22 settembre 1980. Le nubi temporalesche, che solcano il cielo sospinte da un grande vento, scendono a cento metri da terra e corrono ancora più veloci sulla piana albenganese. Vento, pioggia ed infine è la grandine. Chicchi dapprima come noci, poi come patate, bombardano centimetro per centimetro le colture, le serre, i frutteti.
Viene distrutto tutto ciò che vi era da distruggere. L’uragano, che assume gli aspetti di un disastro apocalittico, dura non più di dieci minuti. Dieci minuti che mettono in ginocchio l’agricoltura di Albenga, l’attività trainante dell’economia del comprensorio.
I vetri delle serre sono sbriciolati, le strutture scardinate, le distese di piante ornamentali sterlizie e orchidee sono rase al suolo. Distrutte pure le coltivazioni a cielo aperto di salvia, prezzemolo, riccio, aneto. All’ospedale vengono ricoverati due militari colpiti dai chicchi che accusano un lieve trauma cranico.
Le cronache della Liguria della Stampa titolano su nove colonne «Un uragano sull’economia di Albenga», l’edizione del Secolo XIX: «Disperazione e rovina ad Albenga».
È stata la notte più nera nella storia dell’agricoltura albenganese.
A dodici ore esatte dalla grandinata si riuniscono, presso il comune di Albenga, il sindaco Viveri, la giunta, gli altri sindaci del comprensorio. Vengono richieste: legge speciale, dichiarazione di zona disastrata, intervento di militari per lo sgombero dei detriti e dei vetri, concessione dei mutui e contributi a fondo perduto. Alle otto del 26 settembre circa 600 soldati iniziano lo sgombero dei vetri. I danni superano i 55 miliardi. Vengono distrutti 226 ettari di serre in ferro-vetro, legno-vetro e 15 ettari di serre in plastica. Distrutti anche 40 ettari di colture floricole e 20 ettari di fiori all’aperto. I danni interessano 3 mila 45 aziende. Rilevanti le perdite nella produzione di insalata, porri carote a pieno campo, di basilico in serra. Danni anche in 2 mila 350 ettari di vigneto, mille ettari di oliveto. Il Ministro dell’agricoltura, Marcora, firma il decreto di eccezionale calamità.
E, anche in quell’occasione i contadini ingauni hanno dato prova di sapersi rimboccare le maniche ricostruendo ex novo l’impero agricolo della Piana.
(Didascalie tratte dal sito dell’ortofrutticola)