Sono le 21,30 di lunedì 22 settembre 1980. Le nubi temporalesche, che solcano il cielo sospinte da un grande vento, scendono a cento metri da terra e corrono ancora più veloci sulla piana albenganese. Vento, pioggia ed infine è la grandine. Chicchi dapprima come noci, poi come patate, bombardano centimetro per centimetro le colture, le serre, i frutteti. Viene distrutto tutto ciò che vi era da distruggere. L’uragano, che assume gli aspetti di un disastro apocalittico, dura non più di dieci minuti. Dieci minuti che mettono in ginocchio l’agricoltura di Albenga, l’attività trainante dell’economia del comprensorio. I vetri delle serre sono sbriciolati, le strutture scardinate, le distese di piante ornamentali sterlizie e orchidee sono rase al suolo. Distrutte pure le coltivazioni a cielo aperto di salvia, prezzemolo, riccio, aneto. All’ospedale vengono ricoverati due militari colpiti dai chicchi che accusano un lieve trauma cranico. Le cronache della Liguria della Stampa titolano su nove colonne «Un uragano sull’economia di Albenga», l’edizione del Secolo XIX: «Disperazione e rovina ad Albenga». È stata la notte più nera nella storia dell’agricoltura albenganese. A dodici ore esatte dalla […]